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Titel
Philo Mechanicus. On Sieges


Autor(en)
Whitehead, David
Reihe
Historia – Einzelschriften 243
Erschienen
Stuttgart 2016: Franz Steiner Verlag
Anzahl Seiten
510 S.
Preis
€ 84,00
Rezensiert für H-Soz-Kult von
Franceso Fiorucci, Institut für Rechtsgeschichte und geschichtliche Rechtsvergleichung, Albert-Ludwigs-Universität Freiburg

Questa edizione commentata dell’opera poliorcetica di Filone Meccanico segna la terza tappa di un’ampia ricerca sulla poliorcetica e meccanica militare antica portata avanti con successo da David Whitehead tramite i lavori su Ateneo Meccanico e Apollodoro di Damasco, usciti nella stessa serie di Historia – Einzelschriften.1

Il materiale è organizzato in una serie di capitoli e paragrafi che ripete l’assodato schema delle precedenti monografie: dopo la prefazione, la lista delle abbreviazioni e delle unità di misura adottate, segue un’ampia ed articolata introduzione (che presenta tra l’altro una puntuale rassegna delle precedenti edizioni e traduzioni, dei riusi e ricadute dell’opera in autori successivi), per poi passare al testo con traduzione, seguiti da alcune appendici conclusive, consacrate ad un confronto con altre testimonianze.
Uno spazio adeguato è dedicato alla trattazione di aspetti rimasti finora per certi versi ancora poco approfonditi, come l’utilizzo di certa terminologia per designare fortificazioni o macchinari (pp. 28ss.). Whitehead è inoltre riuscito ad esaltare con il dovuto rilievo il valore di quest’opera come documento storico, approfondendo il ruolo delle varie componenti (come le donne, gli schiavi, gli animali) che operavano in una comunità assediata. Il saggio per certi versi integra e per altri si sovrappone alla finora classica edizione presente nel volume di Y. Garlan,2 ricco soprattutto di riferimenti alle tecniche di fortificazione.

Un contributo particolarmente originale, dove Whitehead dimostra tutta la sua competenza in materia di poliorcetica antica e la capacità di dominare il materiale letterario costituito dai vari testi tecnici e dalle fonti storiche, va riconosciuto nel dettagliato commento, che senza dubbio approfondisce la nostra conoscenza dell’opera e va ad arricchire quanto già acquisito dalla critica su questo autore, offrendo nuovi spunti di indagine. Anche laddove Whitehead ripropone letture o interpretazioni suggerite dai predecessori, il suo lavoro di analisi e discussione delle varie posizioni risulta sempre utile e segna senz’altro un punto d’arrivo nella ricerca, da cui non si può prescindere. Lo stesso vale anche per i passi dove lo studioso preferisce prudentemente sollevare le necessarie questioni, pur senza produrre una soluzione del tutto pacifica (p. 360s.).

Whitehead condivide il parere formulato da Garlan (p. 21 n. 22 con riferimento al predecessore e ancora p. 60), secondo cui l’opera come noi la leggiamo sarebbe in realtà stata soggetta ad un processo di selezione da parte di un epitomatore, probabilmente bizantino e a ciò sarebbe da imputare anche la presenza di materiale non bene integrato nel contesto in cui si trova e quindi da ritenere fuori posto. Lo studioso inoltre tende, con la necessaria prudenza, a dare credito alla suggestiva, seppur difficile da dimostrare nei particolari, ipotesi che prevede una (più o meno diretta?) trasmissione del sapere poliorcetico attraverso la concatenazione Filone → Agesistrato → coppia Ateneo Meccanico / Vitruvio.3 In quest’ottica qualche difficoltà sorge nel momento in cui Whitehead, discostandosi da Garlan, accorda valore decisivo alla testimonianza di Vitruvio 1, 5, 1, chiamata in causa a sostegno dell’emendazione <kai teiche> in A 1. 2 (già di Graux4) con la motivazione che l’autore latino “clearly derives from the original version of Ph.’s A1” (p. 135s.). Si deve cioè ritenere che Ateneo M. e Vitruvio avessero a disposizione un’opera già ridotta o rielaborata, forse dallo stesso Agesistrato, che però in certi punti presentasse ancora il testo originale. Naturalmente tutto ciò è possibile, ma difficilmente verificabile.
Di seguito alcune osservazioni su punti sensibili del commento: nelle note a D 48. 1–4 Whitehead (p. 368) fa correttamente notare l’evidente discrepanza dell’informazione che Filone sembra qui fornirci (in effetti passata sotto silenzio da Garlan). In questo e nei paragrafi contigui la prospettiva da cui muove lo scrivente pare infatti passare ex abrupto dai consigli dati agli assalitori a quelli necessari alla difesa. Proprio nel cambio improvviso di ottica Whitehead individua la soluzione, certo molto economica e pratica, al problema del paragrafo sopra citato, dove congegni normalmente in uso negli assedi dalla parte degli attaccanti (come arieti e trapani), vengono invece previsti a beneficio dei difensori. Possiamo aggiungere che in effetti macchine sollevatrici come le gru, le funi e gli anelli necessitavano di un punto elevato da cui operare, facilmente individuabile nelle mura stesse, e tale caratteristica induce ad escludere che queste si trovassero dalla parte degli assedianti. Coerente con questa scelta è anche la correzione del trasmesso drepana con trypana (suggerita già da Graux), che trova un ottimo sostegno in altri passi della stessa opera, segnalati da Whitehead, dove arieti e trapani ricorrono in stretta giuntura. Se è vero che tutta questa ricostruzione poggia su una solida struttura argomentativa, vorrei però avanzare, in questa mia veste di advocatus diaboli, ancora un’osservazione. Poco prima del passo sopra ricordato, e precisamente in D 46. 1-3, Filone raccomanda, dalla parte degli attaccanti, i metodi per liberarsi dei macigni scagliati dalle mura (irrilevante qui cercare di capire se fossero stati indirizzati contro le macchine ossidionali e rimasti poi sul terreno oppure fin dall’inizio destinati, con la loro mole, ad ostacolare la marcia delle stesse torri e testuggini).5 Per poterli rimuovere è previsto il ricorso a delle cosiddette ‘mani ferree’ (cheires siderai), cioè ganci o simili, collegati evidentemente a delle gru, in grado di sollevare e spostare grandi pesi. Questi strumenti sono noti in ambito militare, come ricorda del resto Whitehead (p. 367), con relativi rimandi, ma essi operano, perlomeno a mia conoscenza, esclusivamente dalla parte dei difensori. Nel nostro caso dobbiamo invece presupporre l’utilizzo di macchine sollevatrici, probabilmente anche piuttosto imponenti, disposte ed in grado di muoversi agevolmente sul terreno di fronte alle mura, quindi in condizioni estremamente difficili e sotto il fuoco dell’artiglieria nemica. La semplice presenza di certi veicoli varrebbe di per sé qualche valutazione, ma al di là di questo vorrei sollevare un interrogativo (o forse, per meglio dire, qualche motivo di riflessione), senza avere la pretesa di fornirvi una risposta. È possibile individuare in queste macchine sollevatrici una ragione di continuità e coerenza con quanto leggiamo subito dopo in D 48. 1–4? Intendo dire se sia legittimo giustificare, sulla base del fatto che gli attaccanti avevano nel loro arsenale queste ‘mani ferree’, anche quei congegni menzionati dopo in D 48. 1–4, come keraiai, brochoi e krikoi.

In conclusione l’opera è il prodotto di una ricerca attenta e competente, che merita di figurare in ogni futuro lavoro sulla poliorcetica e meccanica militare antica.

Annotazioni:
1 Vd. rispettivamente David Whitehead / P.H. Blyth, Athenaeus Mechanicus, On Machines (Perì mechanemáton), Stuttgart 2004 e David Whitehead, Apollodorus Mechanicus, Siege-matters (Poliorketiká), Translated with Introduction and Commentary, Stuttgart 2010.
2 Yvon Garlan, Recherches de poliorcétique grecque, Paris 1974, pp. 278–404.
3 Vd. le note intorno a D 10. 4–6 (p. 345s.), ma anche le obiezioni, ignorate da Whitehead, mosse da Maurizio Gatto, Il “Peri Mechanematon” di Ateneo Meccanico. Edizione critica, traduzione, commento e note, Roma 2010, p. 359s.
4 Charles Graux, Philon de Byzance: Fortifications, in: Revue de Philologie 3 (1879), pp. 91–151.
5 Vd. Albert Rehm, Antike Automobile, in: Philologus 92 (1937), pp. 317–330, qui p. 320, ricordato da Garlan, Recherches, p. 399 che però pongono la prospettiva dalla parte dei difensori, come sembra dedursi dal paragone con l’assedio di Marsiglia in Vitr. 10, 16, 12.

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